Vulcaniti permiane (Alpi Meridionali, Serie dei Laghi, porfidi permiani), Biellese nordorientale
Nel settore occidentale delle Alpi Meridionali tra Biellese e Luganese è presente una copertura vulcanica di età permiana composta da unità vulcaniche e vulcanoclastiche. Le vulcaniti permiane del Biellese affiorano nella parte nordorientale del territorio e sono costituite da rocce piroclastiche e in minor misura laviche. Le vulcaniti sono in contatto con il Massiccio Granitico del Biellese a ovest, a nord-ovest sono dislocate dal sistema di faglie della Linea della Cremosina, a est continuano in Valsesia e a sud si immergono al di sotto di depositi pliocenici, quaternari, recenti e attuali. Sulle vulcaniti, anche nel settore settentrionale dell’area da esse occupata, in corrispondenza dell’incisione del Torrente Sessera, nel suo lato sinistro orografico, si sono depositati sedimenti pliocenici e depositi alluvionali di fondo valle. Incuneati nel complesso vulcanico vi sono lembi di rocce carbonatiche mesozoiche (calcari, dolomie, arenarie, conglomerati e brecce calcaree) che le ricoprono in trasgressione. Le vulcaniti permiane del Biellese appartengono a un unico sistema magmatico (Sesia Magmatic System) che è stato attivo tra 290 e 278 milioni di anni fa. Questa struttura geologica è diventata famosa con la scoperta del supervulcano della Valsesia. Il Sesia Magmatic System non comprende solamente le rocce vulcaniche ma anche le rocce magmatiche intrusive della crosta sottostante ora esposte in superficie. Dopo quasi 10 milioni di anni di attività vulcanica una violentissima eruzione esplosiva del supervulcano con formazione di nubi ardenti e accompagnata dal collasso del sistema ha formato una caldera di almeno 15 chilometri di diametro con l’immissione di un enorme volume di materiale piroclastico stimato superiore a 500 chilometri cubi di materiale. Una caldera è una grande depressione con fondo piatto e pareti ripide molto più grande del cratere che si forma quando grandi volumi di magma vengono espulsi rapidamente e la camera magmatica svuotata non è più in grado di sostenere il proprio tetto così che la struttura vulcanica sovrastante collassa in modo catastrofico. A titolo di esempio l’esplosione del supervulcano al di sotto del Lago Toba nell’odierna Indonesia avvenuta tra 78000 e 70000 anni fa ha eruttato circa 2800 chilometri cubi di materiale, di cui circa 2000 di ignimbrite e 800 di ceneri, mentre l’eruzione del Tambora anch’esso nell’odierna Indonesia avvenuta nel 1815 è ritenuta l’eruzione vulcanica più potente mai registrata in epoca storica. La conseguenza della dispersione della cenere nell’atmosfera è stata l’abbassamento delle temperature globali e il 1816 viene citato come l’anno senza estate; si stima che durante l’eruzione il vulcano possa avere emesso tra 100 e 175 chilometri cubi materiale con circa 25 chilometri cubi di ignimbrite piroclastica che hanno devastato l’isola di Sumbawa e le aree ad essa circostanti. Nella storia della Terra ci sono state eruzioni con enormi flussi di lava eruttati in pochi milioni di anni che insieme alla grande quantità di gas tossici hanno interessato l’intero pianeta contribuendo al verificarsi delle grandi estinzioni di massa. Le vulcaniti permiane appartengono all’ultimo periodo dell’era paleozoica. La geografia del pianeta Terra nel Permiano (299-251 milioni di anni fa) era completamente diversa da quella attuale. Il meccanismo della tettonica delle placche (attivo anche attualmente) con subduzioni e collisioni mutava nel tempo la paleogeografia. L’orogenesi ercinica è stata un evento tettono-metamorfico del Devoniano-Carbonifero e si è verificata come conseguenza della collisione tra blocchi continentali che ha dato origine ad un nuovo grande supercontinente chiamato Pangea. L’attuale Europa si trovava sull’equatore e durante l’orogenesi ercinica si sono sollevate catene montuose con fase parossistica intorno a 290 milioni di anni fa; l’avvenuta orogenesi ha lasciato tracce su tutti gli attuali continenti. Verso la fine del Paleozoico, Pangea il più recente dei supercontinenti, era circondata da un vasto blocco di litosfera oceanica chiamato Pantalassa e all’interno del supercontinente penetrava profondamente un braccio di questo oceano chiamato Paleotetide, con forma all’incirca triangolare e orientato in direzione est-ovest. La presenza di questo braccio oceanico conformava Pangea con un grande blocco continentale detto Laurasia a nord e un grande blocco continentale detto Gondwana a sud. L’avvenuta collisione ercinica ha interessato poco i cratoni rigidi ma i nuovi terreni di accrezione che hanno subito metamorfosi e si sono formati batoliti e vulcani postorogenetici in superficie. L’evoluzione tardo-ercinica con geodinamica caratterizzata da tettonica estensionale ha permesso la risalita di grandi corpi femici e ultrafemici di prevalente composizione gabbrica con formazione di plutoni che hanno innescato processi di fusione anatettica nelle rocce sovrastanti. Le peridotiti si erano intruse nella crosta inferiore probabilmente durante l’orogenesi ercinica e quindi prima dell’intrusione gabbrica. Il protolito del complesso kinzigitico della Zona Ivrea-Verbano è stata una successione marina di metapeliti che si è deposta tra 700 e 480 milioni di anni fa in un bacino oceanico Proterozoico-Cambriano. Queste rocce pelitiche hanno subito metamorfismo trasformandosi in kinzigiti durante l’orogenesi ercinica. Durante l’evoluzione permiana della Zona Ivrea-Verbano e della Serie dei Laghi l’intrusione magmatica attraverso le kinzigiti ha portato alla differenziazione magmatica con formazione di magmi ibridi, migmatiti, graniti e vulcaniti. Il supervulcano del Sesia rientra nel fenomeno appena descritto. Il supervulcano si trovava sul lato africano (Gondwana) e nella parte apicale del golfo della Paleotetide. Quindi alla fine del periodo permiano (251 milioni di anni fa) le vulcaniti del Biellese e della Valsesia eruttate dal supervulcano avevano già circa 30 milioni di anni e si trovavano in zona equatoriale. Dopo la messa in posto delle vulcaniti gli agenti meteorici non possono che aver contribuito ad un notevole smantellamento di queste coperture, perlomeno sino a quando nel Mesozoico non è avvenuta la sommersione oceanica durata sino al Miocene. Il lungo viaggio compiuto da queste rocce durante l’era mesozoica e cenozoica, ad una velocità di pochi centimetri all’anno, è potuto avvenire perché le placche litosferiche si spostano scivolando sul mantello. La formazione di nuovi blocchi di litosfera oceanica iniziata alla fine del Paleozoico e proseguita durante il Mesozoico ha dato luogo alla frammentazione del supercontinente Pangea e all’aspetto attuale della superficie della Terra. Tra la fine del Permiano e l’inizio del Triassico circa 250 milioni di anni fa i movimenti tettonici hanno provocato l’inizio dell’apertura del nuovo bacino oceanico della Neotetide lungo il margine di Gondwana e la progressiva chiusura a della Paleotetide che si è conclusa alla fine del Triassico. La subduzione della litosfera oceanica della Neotetide al di sotto della placca euroasiatica ha determinato un nuovo regime estensionale nella regione centrale della Pangea e zone di rifting; la conseguenza è stata l’ innalzamento del mare che si è espanso verso ovest e la formazione di grandi piattaforme carbonatiche così che nei periodi Triassico e Giurassico sulle vulcaniti del Permiano si sono depositate successioni sedimentarie. Il nuovo regime estensionale ha determinato nel Giurassico (190 milioni di anni fa) l’apertura dell’Oceano Atlantico centrale. In risposta alla formazione di questo oceano si è verificato un movimento trascorrente sinistro della placca africana rispetto a quella europea creando le condizioni per l’apertura (circa 160 milioni di anni fa) di un nuovo oceano in espansione chiamato Oceano Ligure-Piemontese in un settore al margine ovest del golfo della Neotetide. Questo antico oceano è un “oceano perduto” che non ha nulla a che fare con gli attuali mari dell’area mediterranea e deve il suo nome ai resti (ofioliti) che sono presenti nei rilievi del Piemonte e della Liguria. La presenza di grandi faglie ha permesso lo svincolo di porzioni di crosta litosferica e il collegamento tra l’Oceano Atlantico centrale e l’Oceano Ligure-Piemontese. L’Oceano Ligure-Piemontese ha separato due margini continentali, uno posto sulla placca europea e uno posto sulla placca africana. Per circa 30-40 milioni di anni l’Atlantico centrale e l’Oceano Ligure-Piemontese hanno continuato ad allargarsi sino ad avere una larghezza di circa 1000 chilometri. Nel Cretaceo inferiore con la veloce apertura dell’Atlantico centrale è avvenuta l’attivazione di una grande faglia trasforme la quale ha separato l’Africa dal blocco Italo-Dinarico trasformandolo nella microplacca indipendente Adria. L’apertura dell’Oceano Atlantico meridionale con la separazione tra Sudamerica e Africa avvenuta nel Cretaceo superiore (80-100 milioni di anni fa) ha segnato l’inizio della convergenza di Adria verso la placca europea che è andata in subduzione al di sotto di essa e corrisponde anche all’inizio della chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese e del viaggio delle rocce permiane verso l’attuale destinazione. Quasi tutto il territorio italiano si trovava sulla microplacca Adria. La subduzione è continuata sino a circa 35 milioni di anni fa periodo nel quale la litosfera oceanica dell’Oceano Ligure-Piemontese si è consumata totalmente o quasi totalmente. Nel corso dell’era Cenozoica detta anche era terziaria si sono sollevate le grandi catene montuose cambiando l’aspetto della Terra. La catena alpina è il prodotto dell’evoluzione della convergenza e successiva collisione, avvenuta intorno a 30 milioni di anni fa, tra Europa e la microplacca Adria sulla quale hanno viaggiato le vulcaniti permiane e quindi anche le rocce del supervulcano ormai prossime all’attuale destinazione. L’evoluzione geodinamica del Mediterraneo è continuata con il rifting Algero-Provenzale, la rotazione del Blocco Sardo-Corso e la formazione degli Appennini, ma questa è la prosecuzione della storia che non riguarda direttamente le vulcaniti permiane. Va considerato che l’evoluzione dell’area mediterranea è una questione molto dibattuta con interpretazioni diverse a seconda degli autori e in letteratura non esiste un unico modello cinematico di dettaglio che la spieghi. La collisione tra Europa e Adria ha originato a partire dal Miocene due diverse catene, una scivolata verso l’Europa, l’altra verso Adria e l’attuale area adriatica. La catena delle Alpi ha quindi una doppia vergenza e l’edificio a falde che si è generato ha creato un ispessimento della litosfera. La crosta continentale ispessita ha creato una situazione di disequilibrio compensata da una spinta litostatica che unita al perdurare degli sforzi compressivi ha provocato il sollevamento lento e costante (isostasia) dell’edificio Alpino e i processi erosivi che ne conseguono. Le due catene risultano saldate da una poderosa linea di sutura, un insieme di faglie, nota come Lineamento Periadriatico o Linea Insubrica che attraversa le Alpi da est ad ovest e che nel segmento più occidentale prende il nome di Linea del Canavese. La Linea Insubrica attivandosi ha permesso lo svincolo del sistema sudvergente separando unità in origine contigue che hanno poi subito un trasporto tettonico diverso; da un lato il dominio Austroalpino deformato e metamorfosato a partire dal Cretaceo con le falde traslate verso nord e dall’altro il dominio Sudalpino (Alpi Meridionali) raccorciato e deformato a partire dall’Oligocene vergente verso sud, costituito dal margine della placca Adria. Gran parte dei rilievi dell’Austroalpino pur trovandosi a nord del sistema insubrico sono formati da lembi di crosta e del prisma africano scivolati verso l’Europa e al di sopra delle altre falde alpine. Sulle vulcaniti originatesi dall’attività del supervulcano hanno agito gli eventi meteorici sin da subito mettendo in atto un processo di degradazione meteorica. Durante il Mesozoico la sommersione da parte del mare ha creato sulle vulcaniti successioni carbonatiche. Il sollevamento della catena alpina ha comportato la verticalizzazione della placca Adria con riemersione delle formazioni primitive ricoperte di sedimenti marini e l’esposizione della crosta profonda; l’orogenesi alpina pur non avendo coinvolto direttamente le Alpi Meridionali ha provocato una risposta di tipo fragile con formazioni di faglie e verticalizzazione dei complessi rocciosi. Con l’emersione dei sedimenti marini è iniziata subito l’azione degradatrice fisico-chimica creando le condizioni per l’erosione e il conseguente smantellamento delle rocce calcareo-dolomitiche riducendole ad alcuni lembi frammentari di cui ne rimangono, a ovest del Lago Maggiore e a sud della Linea della Cremosina, pochi e scarsamente estesi. Queste rocce carbonatiche sono presenti nel Biellese a Sostegno, Villa del Bosco e Crevacuore. Nella bassa Valsesia il Monte Fenera costituisce il lembo più importante e con maggiore estensione altitudinale. L’erosione ha quindi riesposto le vulcaniti. L’erosione che ha agito durante la rotazione ed esumazione della crosta profonda ha esposto le parti più nascoste e profonde del sistema magmatico sottostante il vulcano, sino a una profondità di almeno 25 chilometri, creando in Valsesia l’opportunità unica al mondo di poter osservare la struttura crostale sino al mantello superiore e l’apparato vulcanico in sezione. La sezione costituisce uno spaccato del sistema di alimentazione del sistema magmatico dove il complesso basico della Zona Ivrea-Verbano rappresenta la camera magmatica di alimentazione, le Kinzigiti e gli Scisti dei Laghi le rocce incassanti, i graniti sono le rocce magmatiche intrusive che si sono solidificate al di sotto della superficie e rioliti, ignimbriti e tufi sono i prodotti superficiali dell’attività del supervulcano. Una volte esposte agli agenti meteorici le rocce vanno incontro ad erosione, trasporto e sedimentazione. Le vulcaniti, ma anche i graniti del Massiccio Granitico del Biellese sono stati interessati da alterazione particolarmente significativa durante fasi climatiche caldo-umide e durante le glaciazioni del Quaternario non sono state interessate da esarazione glaciale. I periodi interglaciali, con il loro clima di tipo subtropicale, hanno contribuito ad una ulteriore azione disgregatrice con formazione di coltri arcosiche prodotte dall’alterazione del granito e versanti molto ripidi con culminazioni ristrette ed affilate in presenza di vulcaniti. Le coltri di alterazione delle vulcaniti presentano uno spessore ridotto con fenomeni di denudamento del suolo e formazione di brecciame a pezzatura decimetrica. I solchi vallivi d’erosione approfondendosi generano incisioni e forme calanchiformi; questo processo può estendersi a interi versanti, cosicché questi ne vengono profondamente suddivisi da una rete di vallecole, separate da creste con microversanti nudi in rapida evoluzione. Queste formazioni sono un elemento caratteristico del paesaggio delle Rive Rosse Biellesi. La trasgressione marina di età pliocenica ha dato luogo ad una successione sedimentaria marino-deltizia di natura argilloso-sabbiosa sotto la quale si immergono verso sud le vulcaniti e ne sono in parte ricoperte nel corso inferiore del Sessera a valle di Pray; dal punto di vista cronologico sono l’ultima testimonianza del mare che ha occupato l’area dell’attuale pianura padana. L’area biellese in cui si trovano le vulcaniti è molto vasta e comprende i territori dei comuni di Lessona, Masserano, Brusnengo, Villa del Bosco, Curino, Sostegno, Pray, Crevacuore, Caprile e Ailoche. L’attività vulcanica che ha dato origine alle rocce è stata prevalentemente di tipo esplosivo, accompagnata da formazioni di nubi ardenti, pomici e lapilli consolidati come ignimbriti e preceduta da modeste manifestazioni di carattere lavico. La deposizione di questa serie è avvenuta in ambiente continentale sub-aereo data la mancanza di depositi stratificati. Le vulcaniti del Biellese sono costituite da rocce laviche nella sezione inferiore e da rocce piroclastiche in quella superiore che corrispondono alle rocce che si sono depositate nella grande caldera. Le rocce vulcaniche, si presentano in facies diverse costituite da rioliti porfiriche rossastre e grigie, lave afiriche grigiastro-violacee, ignimbriti a chimismo riolitico, tufi a grana fine costituiti da da ceneri vulcaniche diagenizzate e di colore giallastro, tufi compatti violacei e verdi, brecce piroclastiche colorate e variegate costituite da frammenti litici generalmente di sole vulcaniti immersi in una matrice cineritica. I tufi e le brecce piroclastiche si presentano anche con vene di quarzo che possono presentare fenomeni di cristallizzazione. Le ignimbriti sono caratterizzate da tessitura fluidale, cristalli frammentati, frammenti vetrosi e xenoliti immersi in una pasta di fondo giallastro-rosacea. Le ignimbriti in alcune zone si presentano a “fiamme”, a Masserano e Curino si rinvengono ignimbriti sottilmente pseudostratificate. La cava abbandonata di Cantone Chierro (Curino) offre l’opportunità di osservare una bella roccia ignimbritica. Le rocce si presentano con struttura massiccia, ma sono anche interessate da fratturazioni di notevole entità e dove sono state interessate da intensi fenomeni di alterazione si presentano come rocce parzialmente sciolte. In zona di faglia, in corrispondenza del sistema di faglia della Linea della Cremosina le ignimbriti riolitiche appaiono cataclasate. Particolarmente interessanti sono le incisioni torrentizie del Riale Ravasanella a monte del lago omonimo, del Rio della Valle a Sostegno e del Rio Bertogna a Crevacuore.
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Fig.1. Stralcio della Carta Geologica d'Italia in scala 1:1.000.000; le aree evidenziate con il colore e la puntinatura associati al numero 85 rappresentano le vulcaniti permiane delle Alpi Meridionali tra Biellese e Luganese (da SERVIZIO GEOLOGICO D'ITALIA, 2011).
Fig. 2. Ambiente nell'area delle vulcaniti permiane.
Fig. 3. Ambiente nell'area delle vulcaniti permiane.
Fig. 4. Riale Ravasanella.
Fig. 5. Rio della Valle.
Fig. 6. Tufo (Curino).
Fig. 7. Tufo (Curino).
Fig. 8. Ignimbrite (Ailoche).
Fig. 9. Lava afirica (Pray).
Fig. 10. Ignimbrite (Curino).
Fig. 11. Ignimbrite (Curino).
Fig. 12. Ignimbrite cataclasata (Ailoche).
Fig. 13. Tufo (Curino).
Fig. 14. Tufo (Curino).
Fig. 15. Breccia piroclastica (Curino).
Fig. 16. Breccia piroclastica (Sostegno).
Fig. 17. Riolite (Crevacuore).
Fig. 18. Breccia piroclastica (Curino).
Fig. 19. Breccia piroclastica (Curino).
Fig. 20. Breccia piroclastica (Sostegno).
Fig. 21. Breccia piroclastica (Sostegno).
Fig. 22. Breccia piroclastica (Sostegno).
Fig. 23. Ignimbrite (Curino).
Fig. 24. Ignimbrite (Curino).
Fig. 25. Ignimbrite (Curino).
Fig. 26. Ignimbrite (Curino).
Fig. 27. Ignimbrite (Curino).